Negli anni ’70, l’agenzia del Dipartimento dei Trasporti degli Stati Uniti decide di intervenire sul tema della sicurezza delle auto bandendo un concorso, inizialmente rivolto alle industrie americane, per la realizzazione di autovetture che potessero garantire le più alte probabilità di sopravvivenza degli occupanti in caso di incidente. L’idea supera i confini fino a coinvolgere costruttori europei e giapponesi.
La nascita dei veicoli sperimentali per la sicurezza, noti con la sigla ESV, acronimo di Experimental Safety Vehicle, affonda le sue radici all’inizio degli anni Settanta, quando negli Stati Uniti la National Highway Safety Bureau, divenuta in seguito National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA), decide di intervenire in modo radicale sul tema della sicurezza automobilistica.
Nel 1971 l’ente bandisce un concorso rivolto alle industrie americane per la progettazione di automobili completamente nuove, orientate a garantire la più alta probabilità di sopravvivenza degli occupanti in caso di incidente. L’obiettivo è duplice: da un lato dimostrare, attraverso prove d’urto severe e standardizzate, la necessità di costruire vetture più robuste e capaci di assorbire meglio le energie d’impatto, dall’altro stimolare i governi a definire una regolamentazione specifica e aggiornata in materia di sicurezza.
I primi prototipi nascono da due aziende aeronautiche, la American Machine & Foundry e la Fairchild Hiller, che sono libere da vincoli d’immagine e marketing. Le prime ESV vengono presentate già nel dicembre del 1971, mostrando soluzioni ardite e molto lontane dalle automobili dell’epoca.
Con il progredire del progetto, anche i grandi costruttori entrarono in campo: verso la fine del 1972 Ford e General Motors presentarono le loro proposte, derivate sì da modelli di serie, ma radicalmente modificate secondo i nuovi capitolati tecnici. In breve tempo si uniscono anche numerose aziende europee e giapponesi, tra cui Fiat, Mercedes, Volkswagen, Datsun (oggi Nissan) e Honda.
A differenza dei prototipi americani, nessuna di queste sviluppa però auto totalmente nuove: le ESV europee e giapponesi nascono sempre da vetture di produzione, opportunamente rinforzate e adattate ai rigorosi requisiti richiesti dalle conferenze internazionali di Parigi, Sindelfingen, Washington e Kyoto che, fra il 1971 e il 1973, aggiornano più volte le specifiche e i requisiti richiesti.
Fiat segue il programma realizzando tre vetture differenti appartenenti a tre fasce di peso e ingombro. Con strutture tecniche diverse: motore e trazione posteriore, “tutt’avanti” o motore anteriore e trazione posteriore. Non arriveranno alla produzione ma saranno concrete basi di partenza per il miglioramento della sicurezza delle automobili degli anni seguenti.
Nel contesto di questo grande programma internazionale, Fiat sviluppa una propria famiglia di prototipi articolata in tre categorie, corrispondenti ad altrettanti pesi di riferimento secondo la classificazione NHTSA: ESV 1500, ESV 2000 ed ESV 2500.
I tre modelli, pur derivando da vetture di serie, sono completamente reinterpretati per migliorarne la sicurezza strutturale. Condividono una caratteristica fondamentale: la presenza di una triplice struttura protettiva rinforzata sul pianale, lungo tutta la linea di cintura e sul tetto, a creare una cellula di sopravvivenza estremamente robusta. Inoltre, coprono tre differenti soluzioni meccaniche, così da offrire un ventaglio completo di configurazioni per lo studio del comportamento in caso d’urto.
Il primo modello, la Fiat ESV 1500, corrispondente a un peso di circa 680 kg perché 1500 è il valore in libbre, utilizza la meccanica della piccola 500 che sta evolvendo nella Fiat 126: l’utilitaria del Lingotto con motore e trazione posteriori, schema tradizionale per l’epoca.
Presentata alla conferenza di Washington del 1972, viene costruita in tredici esemplari e rappresenta il laboratorio più radicale della famiglia ESV del costruttore torinese. Pur basata su un’auto compatta, incorporava strutture di assorbimento d’urto molto avanzate, paraurti di grandi dimensioni, zone a deformazione programmata e rinforzi multipli del telaio, contribuendo significativamente alla definizione delle soluzioni poi discusse alla conferenza di Kyoto del 1973.
Il secondo prototipo, la Fiat ESV 2000, appartiene alla classe di peso intermedia, pari a circa 907 kg, ed è ricavata dalla Fiat 128 a motore e trazione anteriori. Vettura cinque porte studiata espressamente per analizzare la relazione tra stile e sicurezza, dimostra come l’adozione di strutture rinforzate possa stravolgere il design di una vettura di serie. Presenta il parabrezza curvo, necessario per mantenere i montanti anteriori nella stessa posizione dell’auto di partenza nonostante l’irrobustimento della scocca, unito a un caratteristico rigonfiamento del tetto in corrispondenza dei montanti centrali: questo accoglie una centina trasversale che collega i montanti stessi in funzione di roll-bar.